Per un progetto di valorizzazione del patrimonio territoriale del Genovesato
Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni, e che da
vecchio metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di
lei mai ti saresti messo sulla strada: che cos’altro ti aspetti?
Costantino Kavafis
“Ritorno a Itaca”: per significare che dopo tanto viaggiare il vero tesoro è quello che possiamo scoprire con occhi resi esperti dall’esperienza del viaggio e che possiamo trovare nella nostra Itaca solo alleggerendoci delle ricchezze e dei miti di un passato recente. Scoprendo che esistono altri valori e un altro modo di vivere e produrre ricchezza.
L’Ecoistituto di Reggio Emilia e Genova ha voluto intitolarsi ai fratelli Calvino nella convinzione che rappresentano la felice unione dei molti saperi e competenze oggi necessari: sia quelli che attingono al nocciolo duro delle scienze naturali sia quelli che si rifanno alle scienze umane e sociali. Anche l’opera letteraria, infatti, ci stimola a un nuovo atteggiamento nei confronti della realtà e a un nuovo rapporto con la natura. Dall’uno e dall’altro ricaviamo il bisogno di ripartire dai fatti, e non dalle ormai vuote e spesso false rappresentazioni dei media e della politica. Seguendo la lezione di Calvino, e la sua mappa concettuale e valoriale, ancora oggi attualissima, guadagniamo un nuovo punto di osservazione e nuovi metodi di conoscenza e di verifica. Per questa via siamo convinti di riuscire a leggere in maniera più efficace Genova e il suo territorio e creare nuove visioni e scenari di progettazione che abbiano il potere di scaldare il cuore dei cittadini, anche di quelli più sfiduciati, e tutti insieme cominciare a uscire dalla palude e dalla passività per entrare in una nuova fase di partecipazione attiva. A questo punto la nostra città sarà non soltanto più vivibile ma anche più vissuta per strati sempre più ampi di cittadini e ospiti.
Quali i nuovi valori e la bussola con cui orientare il nostro percorso? Tre i punti più essenziali che pensiamo possano venire incontro alle esigenze attuali e future della città e della pubblica amministrazione. Per ora li raccogliamo in un manifesto di idee piuttosto che in un progetto. Idee rivolte non solo agli amministratori ma anche ai cittadini nell’ottica della co-gestione dei beni comuni territoriali e del primo bene che è la “coscienza di luogo”.
– “Genova città unica”: un tema da inquadrare alla scala della Città metropolitana e da sviluppare nel rapporto tra città e campagna, mare e montagna, costa e entroterra in quanto non si tratta più di privilegiare una visione gerarchica del patrimonio territoriale (le cosiddette “eccellenze” quasi sempre urbane), né di privilegiare solo i percorsi (la loro molteplicità si dissolve nella continuità del territorio), ma di contribuire a ricostruire nella consapevolezza degli abitanti il tessuto territoriale e culturale lacerato dalle profonde trasformazioni dei rapporti generazionali e dai processi di emarginazione del territorio rurale. Da questa impostazione discende la necessità del coinvolgimento delle scuole e dei quartieri, dove gli spunti progettuali potrebbero essere dati dalla cura di qualche bene e manufatto significativo da riscoprire e valorizzare all’interno di una visione solo in seconda battuta destinata al turista. I primi Ulisse devono essere gli abitanti.
– “Genova città vissuta”: andiamo a scoprire quale sia realmente lo spazio, meglio gli spazi vissuti dai genovesi e dagli abitanti del territorio metropolitano nei confronti della sua “capitale”. Esistono metodi di inchiesta che consentono di scoprirlo anche da parte di una scolaresca, come le mappe di comunità che oltre a essere preziosi strumenti di autoconsapevolezza possono diventare anche la base di progetti di valorizzazione dal basso dei beni locali, riscoperti andando sul territorio.
– Genova capitale della cultura territoriale (la coscienza di luogo). Come si può dare a Genova questo ruolo? Non incentivando vecchie o anche nuove forme di turismo, ma cambiando visione della città e del territorio e tenendo ben fermo che i nostri primi interlocutori sono gli abitanti, i cittadini, i giovani. A questo obiettivo devono essere diretti gli Ulisse che cerchiamo di risvegliare nelle menti dei nostri interlocutori. I nuovi valori devono infatti tradursi in un’altra visione della città e del suo rapporto con il territorio.
Indicati valori e obiettivi principali non ci resta che fare qualche esempio delle modalità più accessibili:
La prima cosa da fare è rivalutare il viaggio a piedi come forma di conoscenza. Fra le maggiori ricchezze di Genova, ancora poco sfruttate c’è la possibilità di camminare lungo gli antichi percorsi pedonali dentro la città e lungo le direttrici che dal porto salivano alle colline e ai monti e che costituivano le arterie del sistema vivente città-campagna e le vie del loro intercambio e ricambio organico. I flussi erano nei due sensi ed era la campagna-montagna ad alimentare la città. Ripercorrendo oggi quelle vie possiamo assicurare anche il nostro ricambio organico: non solo la salute ma anche la nostra crescita culturale. Camminando si prevengono malattie e se si impara a guardare, si scoprono ambienti fatti non solo di piante e di animali che vivono insieme a noi, ma anche di molti segni lasciati dalla storia e dal lavoro umano che hanno profondamente trasformato il nostro paesaggio originario. Per questo abbiamo bisogno di cultura storica per non parlare di bellezze e paesaggi naturali che dalla rivoluzione neolitica non esistono più nella nostra regione.
A partire dagli anni ’80 il Comune, le sue istituzioni e diverse associazioni “verdi” hanno progettato e cominciarono ad attrezzare l’”ecologia in città” con itinerari “naturalistici”, che partivano proprio dall’abitato e andavano incontro alla “natura” o meglio a un territorio meno urbanizzato ma non meno trasformato da parte dell’uomo della città stessa. Da allora l’amministrazione comunale e le associazioni interessate hanno continuato a produrre materiale descrittivo delle “bellezze” naturali e storiche della nostra città e del suo territorio. Partendo dall’acquisizione di tutte queste esperienze, è oggi necessario fare un salto di qualità, lavorando a un Progetto che parta da una idea che, in conformità coi risultati della ricerca internazionale, sappia riconnettere natura e storia, cultura e sviluppo sostenibile, assumendo, come traccia del lavoro sul terreno, le antiche strade, creuze, sentieri lungo i quali Genova ha esercitato per secoli la sua influenza sul territorio senza fagocitarlo e prosciugarne popolazione e risorse.
Attorno al recupero di questo sistema arterioso che ha tenuto in vita per molti secoli il nostro territorio si può attivare una RETE a Palazzo Verde al Molo, sede dell’Ecoistituto e di altre associazioni che possono partecipare al progetto, dove far convergere scuole, comitati di cittadini, associazioni territoriali, sindacati e qualsiasi altra forza interessata a potenziare il respiro della città, oggi piuttosto asfittico, per tornare a guardare al futuro con maggiore fiducia. La fiducia e il benessere che sappiamo provenire dalla consapevolezza di vivere in un paesaggio eccezionale, alla cui valorizzazione spesso mancano non tanto le risorse economiche quanto la restituzione di un patrimonio fatto di creuse, ponti, torrenti, ville e parchi storici, mura e forti, fasce, giardini e poderi: restituzione ai cittadini ancora inconsapevoli e ai turisti lenti che vogliano sentirsi genovesi, un giorno, una settimana o per tutta la vita (in molte situazioni i primi difensori dei beni locali sono stati stranieri che hanno cessato di essere turisti e si sono sentiti parte della comunità locale).
Una provocazione potrebbe essere quella di considerare l’intero Genovesato come un parco, anche se sappiamo che l’idea di parco è oggi in crisi rispetto ad altri strumenti di valorizzazione del territorio. La provocazione avrebbe un significato innovatore per il fatto di mettere sotto la tutela e il controllo dei cittadini l’intero territorio quello più densamente abitato, come quello più desertificato, quello lasciato al bosco come quello più coltivato, quello vincolato da quello che non lo è, senza gerarchie e isolamento di parti considerate più importanti solo perché più produttive o turisticamente più rilevanti come sono il Porto Antico, i palazzi dei Rolli, i forti sdemanializzati. Il principio che deve passare è che non c’è meno storia e valore per una comunità locale (e anche “bellezza”) in un pendio terrazzato, nella serie di mulini lungo il corso di un torrente, nelle case e chiese rurali, di quanto ci sia nei palazzi di Strada Nuova. Ci sono soltanto una storia diversa e valori diversi, legittimi ma che non possono più affermarsi oscurando tutti gli altri.
Nell’Ottocento,, dopo l’Unità, un contadino ligure interrogato sull’economia montana dal garibaldino Agostino Bertani responsabile dell’Inchiesta agrarie Jacini rispose con questa frase lapidaria: “i monti sono vecchi”. Voleva dire che la storia aveva da troppo tempo trasformato la loro natura, rendendoli calvi come un vecchio. Più di mezzo secolo dopo un pittore incaricato dalla Banca d’Italia di affrescare il salone della sede genovese con le virtù dei Liguri per celebrarne la laboriosità scelse la dura opera di terrazzamento dei versanti montani. A quale categoria l’opinione pubblica potrebbe oggi offrire il primato della laboriosità? Non certo ai contadini di cui nessuno parla più. É da questi angoli bui della memoria collettiva che dovremmo ripartire per riscrivere la storia di Genova e del suo territorio.
Resta il fatto che in questa prospettiva ciascuno potrà trovare la propria Itaca, se saprà alleggerirsi delle mappe e dei valori superati dalla lunga crisi esplosa nel 2008 e scoprendo che esistono altri valori e modi di produrre ricchezza, in grado di creare condizioni di vita migliori per gli abitanti, di attrarre nuovi cittadini da fuori e di trattenere a Genova i giovani che vi si trasferiscono per motivi di studio e soprattutto i giovani costretti a emigrare per mancanza di lavoro. Senza riesumare l’infelice metafora dei giacimenti petroliferi bisogna ripartire dalla piena consapevolezza che più che singole parti del territorio (il porto, la riva del mare, le aree industriali, le città turistiche delle seconde/terze case da tempo in sofferenza) sono il territorio e il suo patrimonio, da cogliere nella loro interezza e profondità non meno che nell’infinita varietà e “verginità” di molti strati, a costituire il nostro più formidabile serbatoio di risorse.
Genova, marzo 2017
ECOISTITUTO DI REGGIO EMILIA E GENOVA
Massimo Quaini
Matteo Marino
Mario Calbi
Paola Sabbion
Ester Quadri
Gianfranco Porcile